giovedì 5 maggio 2016

Soleggiamento e Griglie


Studio del soleggiamento  e dei venti dominanti


Griglie orientate


PARTNERSHIP AL PROGETTO

        
AGERE FABULAM, LABORATORIO TEATRALE ED ARTI SCENICHE
INTERVISTA A GIANMARCO TOGNAZZI
http://www.gianmarcotognazzi.com/


‘’Tognazza Amata’’, Velletri
29 aprile 2016

MARCO GIORGI (MG): allora eccomi qui con Gianmarco Tognazzi, siamo nella Tognazza Amata, sede di Velletri della tua …
GIANMARCO TOGNAZZI (GT): … azienda e associazione culturale. In realtà qui adesso c’è l’associazione culturale; abbiamo fatto dei discorsi molto culturali, abbiamo discusso un progetto fenomenale che deve soltanto trovare dei piccoli accorgimenti ma è un ottimo progetto tanto per cominciare, lo dico subito Marco, perché mi sembra molto interessante.

M.G.: allora Gianmarco, tu sei un grande attore di cinema, teatro, televisione. Come è nata la passione per la recitazione?
G.T.: be’, se cresci in una famiglia cosi, le cose sono due: o lo ami o lo odi questo mestiere perché senti solo parlare di quello, hai solo gente intorno che ha fatto questo mestiere; poi ho avuto la fortuna di avere un padre che accentrava le sue amicizie intorno una tavola per parlare di lavoro, quindi alla fine si stava insieme giocando e divertendosi in maniera conviviale ma alla fine il lavoro era alla base di tutte le serate. Quindi quando sei accerchiato hai due reazioni, l’amore o l’odio ed è una cosa che ambiscono e che sognano di fare tutti e diventa molto difficile che la parte che ti scatti sia quella del rifiuto, quindi viene fuori in maniera naturale, c’è involontariamente uno spirito di emulazione, hai un riferimento in famiglia molto importante, in qualche modo quando sei ragazzino non hai la percezione della difficoltà che sarà fare questo mestiere, soprattutto i tempi che sono cambiati, però inevitabilmente in famiglia abbiamo deciso in un modo o in un altro di avventurarci in questo lavoro con grande passione, con grande difficoltà, perché poi ci sono dei vantaggi inizialmente ma anche una serie di difficoltà.

M.G.: a proposito di ruoli, c’è un ruolo, un genere che ti piace interpretare di più, magari a cui ti senti più affine?
G.T.: no, in realtà no, nel senso che mi piace fare, l’ambizione che ho è quella di cambiare più possibile. Come non amo portare me stesso in scena per come sono, per come abbiamo discusso il progetto. Io non voglio necessariamente la trasformazione, credo di essere a servizio del personaggio che faccio, non il personaggio al mio servizio perché credo che quel potere di avere un carisma, cosi importante da poter imporre la tua personalità sopra il tuo personaggio, ce l’abbiano veramente in pochissimi nel mondo e poi perche penso realmente che l’attore sia a servizio del regista e a servizio del suo personaggio; il divertente sta andare a cercare qualcosa che è distante da te, vivere una realtà diversa o provare ad avvicinarti con la tua critica che puoi fare attraverso un personaggio; il fatto di riproporre ossessivamente me stesso, fare l’attore scendi letto come dico io, di quelli che si truccano, dicono le battute e poi si cambiano solo il vestito, a me non diverte. Poi che sia drammatico, comico, il film di Natale piuttosto che lo spettacolo impegnato dell’autore famoso piuttosto che dell’esordiente, da protagonista a me non interessa. Mi diverte l’idea di poter variare. Se non me lo fanno fare all’interno delle discipline, cinema, teatro, televisione, singolarmente in queste, cerco di variare facendo un po’ dell’uno un po’ dell’altro e vedendo di condizionare tra le mie scelte le opportunità che mi danno, magari a teatro faccio una cosa comica, se mi capita un film più serio vado a equilibrare cosi con il cinema o la fiction. È diventata una battaglia.

M.G.: per la tua carriera ti sei ispirato a un attore in particolare?
G.T.: no, nel senso che sicuramente l’ultimo dei pensieri è cercare di pensare come l’avrebbe fatto mio padre perché lo troverei poco rispettoso nei suoi confronti e poco intelligente da parte mia perché vorrebbe dire che hai uno spirito di emulazione che non è quello da cui ti parte la suggestione di fare un mestiere ma proprio che non hai una personalità da poter creare qualcosa di tuo, quindi ti devi adeguare ad assonanze o a imitare. L’attore non è imitare qualcuno, poi lo spunto ti può venire dall’ammirazione che hai. Tantissimi attori che sono anche completamente differenti da te, ma non c’è uno a cui mi ispiro: io mi faccio spesso trascinare istintivamente dall’analisi che ho fatto del personaggio e dove mi porta la prima scena, in genere la prima scena è quella che mi suggerisce come dovrò fare il personaggio.

M.G.: mentre dal tempo degli esordi ad oggi, è cambiato qualcosa nell’ambito del cinema, teatro? Poi se è cambiato qualcosa, cosa è cambiato?
G.T.: è cambiato tutto, è completamente diverso da quello che era ai tempi di mio padre, cosi come lo è stato negli anni Ottanta, negli anni Novanta, negli anni Duemila. La tecnologia è avanzata ma a causa della crisi si è passati da un’industria a un artigianato, perché il lavoro si è ridotto, e nonostante la cultura sia la maggior risorsa del patrimonio che abbiamo, la politica non riesce a sostenerla intraprendendo percorsi seri che abbraccino ogni tipo di disciplina ad essa legata che vanno dalla progettualità di un teatro o alle scenografie o al trucco, alle macchine da presa e quindi che si prenda cura delle maestranze perché non fare industria ma tornare all’artigianato non ha tolto lavoro solo agli artisti ma soprattutto agli operai specializzati e questa è follia pura. A causa di ciò nei nostri settori, cinema, teatro e televisione, la crisi è stata ancora più acuta perché il gran numero di persone che pensavano di arrivare ad una ‘’industria’’ del settore si sono ritrovate a lavorare poco e in maniera artigianale, quindi è cambiato il panorama.

M.G.: quindi questo cambiamento come è vissuto nel tuo ambito?
G.T.: purtroppo non con la lotta del cambiamento o di frenare certe degenerazioni del passato ma con, se vuoi, la fatalità degli eventi che si sono creati e che forse con un po’ di rassegnazione al sistema, al paese, alla gestione … nel senso che quando poi vedi le tue incapacità di fare gruppo, collettività per fare le cose e vedi poca rispondenza da parte delle istituzioni o comunque non nella misura in cui sarebbero utili a cambiare sostanzialmente le cose, allora è chiaro che è molto complessa.

M.G.: i giovani che si addentrano in questo mondo, sono aumentati o diminuiti rispetto agli anni passati?
G.T.: da una parte sono aumentati, perché c’è stato un momento fenomenologico sbagliato, anche quello dove, pensando di dire fai un reality, diventi un artista o è il veicolo per diventare famoso … perché in Italia purtroppo è più importante se sei famoso per qualsiasi motivo che per quello che sai fare. Questa è una altra realtà ed e  permesso farlo a tutti perché tanti che fanno i piloti, i piloti che fanno i registi, i registi che fanno i politici, i politici che fanno i pittori, tutti fanno tutti e io sono all’antica e penso che ognuno debba fare il suo e cercare di farlo al meglio; il problema non è se lo fai perché ci possono essere eccezioni, il problema è che lo dai come riferimento ai giovani, pensano che non ci debba essere specializzazione, che non ci debba essere un approfondimento, una dedizione a qualcosa di specifico e questo ha portato a dire lo possiamo fare tutti, perché in qualche modo il reality negli anni Duemila e la comunicazione, i social e la visibilità: una volta i ragazzi vedevano una telecamera e avevano paura di parlare ora corrono davanti a una telecamera o addirittura si riprendono da soli. Si è ribaltato, non c’è più quell’ imbarazzo di chi voleva ambire a fare un mestiere che aveva bisogno di una costruzione e chi si improvvisava a farlo, questa cosa ha portato tanta gente, tanti ragazzi ad avere un’aspirazione di diventare, di fare, ma allo stesso tempo la riduzione del mercato ha messo molti altri che avevano iniziato questo processo di fronte all’idea che non era cosi semplice come gli era stata prospettata; alla fine le opportunità sono molto basate sulle circostanze un po’ anche sulla casualità, sulla fortuna e anche sulla capacità pero molti si sono disillusi, hanno capito che era complesso pensare di ragionare cosi semplicisticamente come gli era stato fatto intuire qualche tempo fa.

M.G.: a questi giovani che vogliono intraprendere una carriera come tua, che consigli daresti?
G.T.: i consigli sono difficili da dare, perché dico che sei hai la passione di farlo, devi mettere in conto a cosa vai incontro, quali sono le difficoltà, che la meritocrazia è un discorso astratto nel nostro paese e non solo nel mestiere artistico, comunque non consiglierei di farlo come mestiere su cui basare la propria economia familiare perché non ci sono presupposti nella normalità, nella continuità, non c’è una metodica per la quale un certo numero di ragazzi che vogliono fare questo mestiere arriveranno a poterlo fare con continuità, sarà tutto molto a spot, parziale, quindi come fai a basare l’idea di fare quel mestiere se non puoi avere la continuità? Magari fai due film e poi più niente, quindi devi farlo con passione, puntarci se ci credi, ma sapere che sarà una strada di grande sacrificio, molto più di quello che era una volta, perché c’è molto meno lavoro e io consiglio comunque di avere un piano B, o meglio, prima avere prima il piano B, poi portare avanti questa cosa. Non è per disilludere o scoraggiare chi vuole iniziare, pero’ il dato di fatto oggettivo è questo: siamo settantamila e se ne lavorano fissi tre-quattrocento sono tanti, ma tanti.  Anche perché c’è questo meccanismo per cui chi è nuovo è una coincidenza astratta e una variabile, e a chi ha una continuità, il mercato chiede una visibilità di chi già è. Certo che ci vogliono le nuove leve e ci saranno fortunatamente ma è molto più settorializzata di una volta dove c’erano più opportunità e più possibilità, più causalità di creare una carriera. È un discorso estremamente complesso per potere essere veramente indicativo su cosa consigliare. Io consiglio tanto studio, sapere quale è stato il passato del mestiere che vuoi andare ad affrontare, quale è stata la storia del cinema italiano, la storia del teatro italiano e non solo. Magari anche quello europeo, francese, inglese ed americano perché se non hai la cognizione di quello che sei stato come paese, come cultura, ma non solo nel recente passato, forse andando a studiare quello proprio che l’ha reso un industria questo mestiere, se non hai la cognizione non puoi valutare, come dire non puoi avere un gusto musicale senza aver mai sentito i Beatles. È difficile. Se non sai chi sono i Beatles capisco che oggi fai, o vent’anni fa facevi i salti mortali per i Take That; se avessi sentito i Beatles, avresti avuto un giudizio un minimo morigerato nei confronti di fenomeni che erano fenomeni ma un conto è essere, come dire, quelli che hanno cambiato la storia della musica leggera, però se non hai cognizione di quello, se non sai chi erano Pasolini, Rossellini, Visconti, De Sica, per dirne alcuni, cosi come negli attori, come fai ad affrontare solo avendo gli ultimi riferimenti degli ultimi dieci, quindici anni? Con tutto il rispetto, bisogna conoscere, avere questa passione, curiosità di conoscere, di vedere il più possibile per chi ha questa passione, diventa una roba ingestibile quasi, è tipo crisi di astinenza, chi è cosi, va, vede, si informa, capisce che lo studio non è mai arrivato al punto di arrivo, c’è sempre un livello superiore, un approfondimento superiore, in un panorama che forse pero’ poi ti scoraggia nelle opportunità in tutto quello che è il tuo amore, rischi di sentirti un po’ come tradito da questo mestiere, più passione hai più quello che non ti gira intorno ti potrebbe creare frustrazione.

M.G.: nei vari teatri che hai frequentato, quale è stato quello in cui ti sei sentito più a tuo agio, per l’acustica, per gli spazi?
G.T.: è molto difficile perché ho avuto la fortuna di girare tutti i teatri d’Italia, da quelli storici a quelli moderni e inevitabilmente, un po’ come sempre, più vai indietro, più le cose erano fatte bene, mi dispiace dirlo ma è cosi perche è chiaro che un teatro all’ italiana ha un acustica che non può avere un teatro moderno, studiato nei minimi particolari al livello acustico e tecnologico ma non per cattiveria, perchè quel tipo di conformazione era studiato proprio in assenza di tecnologia e quindi doveva portare il massimo in maniera diretta. Oggi se il cinquanta per cento degli spettacoli li fanno con i radio microfoni, a che serve l’acustica?, mettiamo dei buoni radio microfoni. Questo è un po’ un paradosso, per cui ti posso dire che è chiaro che avere avuto la fortuna di recitare come al Ponchielli di Cremona, per fare un esempio, che è un teatro meraviglioso, come i teatri di Lucca, il Bonci di Cesena, ma ne ho fatti talmente tanti perché sono venti anni di tournée. Ho recitato anche in posti dove pioveva sul palco. Il teatro si fa in spazi diametralmente opposti: passi dal Ponchielli alla latrina, dove non solo non hai il camerino, non hai le luci; il teatro è su vari registi all’interno dello stesso scenario perché quando fai lo ‘’scavalca montagna’’, magari non la prima stagione, la seconda o la terza, capiti anche in posti che non ha  spazi fisici: io mi ricordo ho fatto uno spettacolo in un palco che era tre metri per tre e praticamente noi attori non stavamo contemporaneamente in scena, fisicamente non riuscivamo a muoverci, eravamo una fotografia, quindi è diventato un improvvisazione quello spettacolo che aveva fatto duecento repliche con delle varianti ma li c’erano pezzi di scenografia, era un’improvvisazione totale.  Uno in particolare non te lo so dire perché sono troppi però nella mia mente ci sono dei teatri meravigliosi all’italiana, mi viene in mente il teatro di Carpi; paradossalmente nelle città di provincia c’è ancora un mantenimento di certe strutture antiche, sono meravigliose; in città purtroppo no, sorvolando sul Sistina piuttosto che l’Argentino o l’Eliseo, per parlare di tre strutture  completamente diverse nella città: moderno, quasi antico, storico antico, o il teatro della Scala di Milano che fa un altro genere di spettacoli dove io non ho messo piede in quanto solo attore. Pero c’è la predilezione per teatri all’italiana.

M.G.: quindi un laboratorio teatrale che si rispetti che requisiti dovrebbe avere?
G.T.: sono due cose diverse, come ti dicevo prima, in funzione al progetto: il laboratorio teatrale è una cosa e ha delle caratteristiche che non sono le stesse di cui necessita un teatro, che sia all’italiana o moderno. Perché i corsi di recitazione o laboratori si fanno in spazi dove quando tu hai una pedana a mo’ di palco, di una cinquantina di centimetri rialzata da terra, in uno spazio, un ambiente largo dove si può, levando le sedie, fare esercizi a seconda del tipo di laboratorio che fai: se fai il metodo Strasberg che prevede anche il rilassamento, c’è bisogno di uno spazio completamente vuoto dove agire in libertà quindi può essere anche una palestra che ha una pedana e un palco, non c’è qualcosa di specifico. Certo se tu hai la parvenza di una sorta di piccolo sipario, perché se devi creare una scena o mettere in piedi se vuoi un saggio, puoi dare quell’atmosfera delle americane o piantane che ti mettono in condizione di fare un minimo di suggestione, di illuminazione con dei tagli e quindi una pedana con delle quinte, quando hai quello e uno spogliatoio dove organizzarsi, spesso l’ho fatto io a teatro, in una grande camerata in cui ognuno aveva il suo angolo dove truccarsi e vestirsi, è più che sufficiente per fare un laboratorio teatrale, anche perché molto nel laboratorio teatrale lo deve mettere la fantasia dell’attore nel portare con il personaggio e con lo studio di quello che vai a fare, di proporre il personaggio anche per come decidi di arrivare vestito. Per esempio quando facevo io i corsi con Beatrice Bracco, avevamo un posto ampio, scarno, pulito ma poi tutto quello che andavamo a costruire, lo andavamo a cercare noi, è un modo di avvicinarsi al personaggio, di ricreare con gli ambienti di scena, che non vuol dire avere necessariamente delle scenografie: facevi una scena in cucina, io mi portavo le pentole per allestire il mio angolo cucina che volevo fosse la suggestione che avevano i miei compagni che guardavano quella scena: magari con il metodo di Beatrice Bracco o altri insegnanti si lavora sui sensoriali per cui tutto c’è tranne gli oggetti, gli oggetti devono essere visti dai tuoi colleghi e compagni di lavoro perche tu li ricrei e sembra che ci siano pur non essendoci, dipende da che metodo di lavoro stai utilizzando, puoi avere tutto o il vuoto cosmico in un laboratorio teatrale, qualche sedia, una pedana, più è a mo’ di teatro, meglio è, te lo dice uno che ha cominciato dal teatro Argo che sono quaranta posti ed era una stanza 4x5, il palco, una stanza con le mura, non le scenografie quindi eri in una situazione veramente di teatro da camera; se parti da li , quando ti allarghi, puoi solo gioire. Più difficile partire quando hai uno spettacolo a disposizione e andare nel luogo dove in assenza di tutto, dove ti senti a contatto con il pubblico a un metro, diverso che recitare a 5- 6 metri dal pubblico.

M.G.: quindi se ti venisse proposto un progetto del genere, un laboratorio teatrale in cui si insegna tutto ciò che riguarda l’arte del recitare o quello che riguarda il make-up, la costumistica, saresti disposto a finanziarlo, sponsorizzarlo?
G.T.: a finanziarlo volentieri, se avessi i soldi lo finanzierei molto volentieri, a collaborarci si, a dare un consiglio e a partecipare effettivamente alla progettualità di una cosa l’ho sempre fatto, anzi sono sempre stato il primo ad adeguarmi ai teatri, a criticare quali erano degli errori di valutazione fatti nella progettualità perché io vengo dall’istituto d’arte dove facevo arredamento quindi qualche cosa ci capisco; fare esperienza sul luogo ti fa capire i difetti e li vedi perché hai vissuto i luoghi in base alle esigenze che avevi prima di andare in scena quindi io sarei molto ben disposto, è chiaro che un tipo di progetto del genere è un ambizione e deve prevedere una serie di valutazioni, le valutazioni legate al corso di make-up, perché sul teatro possono essere importanti perché, a differenza del cinema, a teatro ti devi truccare da solo, non hai il truccatore che ti segue, il teatro non lo prevede; poi devi avere una conoscenza di cosa significa tecnicamente il discorso delle luci, degli spazi dell’adattarsi allo spazio scenico in base a quello che puoi avere o no. E’ chiaro che se hai una struttura che ti da queste cognizione e questa formazione, il lavoro dell’attore diventa più semplice e più facile ma non toglie che tu avrai delle sorprese andando in giro e ti ci dovrai adattare ma è chiaro che questo è un progetto che mette insieme una serie di cose che possono essere molto utili a chi lo fa e anche a chi va li, come per esempio come docente ad insegnare, perché diventa una struttura polivalente che forma, insegna,  una struttura recettiva che ospita chi viene da fuori che crea intrattenimento a livello interno e esterno attraverso il progetto che mi hai fatto vedere, ci sono da valutare una serie di cose, di accorgimenti che si hanno in funzione di non fare l’errore di fare una cosa progettualmente molto bella ma che rischia di avere limiti organizzativi, ecco perche è importate cosa si prefigge il progetto e diventa fondamentale se è una struttura che viene utilizzata solo da chi va a studiare la dentro o deve diventare una struttura che lavora mettendo in piedi degli spettacoli di cui fruisce un pubblico che viene da fuori, perche anche la situazione legata del bar piuttosto che del ristorante che ha quella struttura li, dipende dal tipo di progetto che fai, in base a quello devi farti una serie di domande, anche in relazione alla zona in cui hai deciso di applicare il progetto, se hai spazio o no, devi capire se è sostenibile o se il progetto deve prevedere qualcosa altro.


Grazie a Gianmarco Tognazzi per la disponibilità e la gentile collaborazione.
Marco Giorgi






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